2001 STRANGE FRUIT installation DUBLIN Botanic Gardens Sculpture in Context
Nulla si butta nulla si consuma
Su alcune opere di McBett
Tra le scorie e la materia, il confine, nelle continue trasformazioni chimico-fisiche della natura, può essere molto labile. Se tutto serve a far nascere altre cose, ogni cosa è la base per una nuova creazione. Cosi, i riciclaggi di McBett si differenziano dai più consueti riciclaggi di materiali industriali o "abbandonati" dopo il consumo. Il suo è anche un differente modo di porsi di fronte all'object trouveè, poiché sembra che tutta l'attenzione dell'artista sia rivolta ad intuire cosa si nasconde nella materia, nell'oggetto-scoria e nel farlo venire fuori.
Nascono cosi opere come il "441 Jack-jars - Fragilità e Forza", che nato da un barattolo di vetro, dopo che il contenuto ne è stato "divorato", si costruisce come barriera trasparente. Il primo barattolo di vetro, si potrebbe affermare che, è stato dall'artista "clonato" fino a farlo - nel suo divenire massa - trasformare in qualcosa d'altro.
Le deformazioni di chi si osserva riflesso nella parete di vetro che la "parete" crea, invece appaiono come quelle modificazioni che i processi industriali e tecnologici proiettano sull'uomo.
Il processo di deformazione, che avviene in ogni trasformazione e così caro a McBett, è colto dall'artista nel racchiuderlo nella cornice di una visione unica.
Attraverso alcune stampe di monotipi intitolati _Figura e Sfondo_ è colta l'immagine nel suo farsi, proprio mentre si forma e mentre vive il distacco - distacco anche come sentimento - tra la pressione della carta ed il colore. Tutto ciò, lascia sull'immagine finita il senso che le cose sarebbero potute andare anche altrimenti, se si fosse operato in altro modo.
Ma non sempre è possibile!
Cosi i monotipi oltre a segnare un'immagine, ne raccontano la storia che l'ha portata ad essere cosi.
Se tutti i processi sono trasformazioni, non tutte le trasformazioni sono però reversibili, e proprio nella loro irreversibilità sta il dramma. Parlo di dramma perché c'è una creazione di McBett, nella quale le opere dialogano con l'ambiente nel quale sono inserite.
Cosi, in una serra - luogo per eccellenza nel quale si cura la vita, e si segue dal seme alla pianta allo sbocciare del fiore o del frutto, con meticolosità religiosa e scientifica - noi vediamo penzolare dall'alto delle gambe di manichini, tutte in fila, e tutte le gambe hanno incollati su di loro dei piccoli vasetti di vetro che sono tante sanguisughe. Peggio è che per l'artista quelle sono icone di tutti quegli umani _Strani Frutti_ colti dai crimini della guerra.
Qui McBett raggiunge un profondo ed alto livello di comunicazione e di espressività artistica, che produce nello spettatore quel fecondo ed ulteriore processo di trasformazione e di riutilizzo della realtà al quale, si dà il nome di pensiero.
Vittorio Pavoncello
Su alcune opere di McBett
Tra le scorie e la materia, il confine, nelle continue trasformazioni chimico-fisiche della natura, può essere molto labile. Se tutto serve a far nascere altre cose, ogni cosa è la base per una nuova creazione. Cosi, i riciclaggi di McBett si differenziano dai più consueti riciclaggi di materiali industriali o "abbandonati" dopo il consumo. Il suo è anche un differente modo di porsi di fronte all'object trouveè, poiché sembra che tutta l'attenzione dell'artista sia rivolta ad intuire cosa si nasconde nella materia, nell'oggetto-scoria e nel farlo venire fuori.
Nascono cosi opere come il "441 Jack-jars - Fragilità e Forza", che nato da un barattolo di vetro, dopo che il contenuto ne è stato "divorato", si costruisce come barriera trasparente. Il primo barattolo di vetro, si potrebbe affermare che, è stato dall'artista "clonato" fino a farlo - nel suo divenire massa - trasformare in qualcosa d'altro.
Le deformazioni di chi si osserva riflesso nella parete di vetro che la "parete" crea, invece appaiono come quelle modificazioni che i processi industriali e tecnologici proiettano sull'uomo.
Il processo di deformazione, che avviene in ogni trasformazione e così caro a McBett, è colto dall'artista nel racchiuderlo nella cornice di una visione unica.
Attraverso alcune stampe di monotipi intitolati _Figura e Sfondo_ è colta l'immagine nel suo farsi, proprio mentre si forma e mentre vive il distacco - distacco anche come sentimento - tra la pressione della carta ed il colore. Tutto ciò, lascia sull'immagine finita il senso che le cose sarebbero potute andare anche altrimenti, se si fosse operato in altro modo.
Ma non sempre è possibile!
Cosi i monotipi oltre a segnare un'immagine, ne raccontano la storia che l'ha portata ad essere cosi.
Se tutti i processi sono trasformazioni, non tutte le trasformazioni sono però reversibili, e proprio nella loro irreversibilità sta il dramma. Parlo di dramma perché c'è una creazione di McBett, nella quale le opere dialogano con l'ambiente nel quale sono inserite.
Cosi, in una serra - luogo per eccellenza nel quale si cura la vita, e si segue dal seme alla pianta allo sbocciare del fiore o del frutto, con meticolosità religiosa e scientifica - noi vediamo penzolare dall'alto delle gambe di manichini, tutte in fila, e tutte le gambe hanno incollati su di loro dei piccoli vasetti di vetro che sono tante sanguisughe. Peggio è che per l'artista quelle sono icone di tutti quegli umani _Strani Frutti_ colti dai crimini della guerra.
Qui McBett raggiunge un profondo ed alto livello di comunicazione e di espressività artistica, che produce nello spettatore quel fecondo ed ulteriore processo di trasformazione e di riutilizzo della realtà al quale, si dà il nome di pensiero.
Vittorio Pavoncello