1984 THE LOST ONES Set Design Thesis ROMA Accademia di Belle Arti
with film-documentary direction notes
LO SPOPOLATORE (LE DEPEUPLEUR)
Samuel Beckett TESI si Scenografia 1984 di Elisabetta Jacomini ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI ROMA Introduzione: Il racconto LO SPOPOLATORE appartiene all'ultima produzione beckettiana, in cui l'autore abbandona definitivamente gli schemi classici del linguaggio letterario, ancora fatti di proposizioni e periodi, per lasciare ampio spazio ad un linguaggio descrittivo fatto di parole-azioni-sensazioni libere sempre più da vincoli spazio-temporali. Accompagnato nell'edizione da un altro racconto, ancora più esplicito di questo tipo di linguaggio, SENZA, LO SPOPOLATORE parla di una civiltà probabile racchiusa nel suo microcosmo totale di un cilindro armonico (circa.mt 50 di base e h mt 16), nel quale sono prodotti probabili modi di agire e di reagire; probabili leggi automatizzate in una coscienza collettiva dei singoli; probabili rapporti fisici e mentali a produrre precisi ruoli. La fondamentale occupazione di questa popolazione di uomini vaganti (forse neppure classificabili come uomini; diciamo piuttosto 'esseri con sembianze umane'), la principale occupazione di questi corpi è quella di arrampicarsi su scale a pioli altissime poste lungo le pareti del cilindro, per raggiungere delle "nicchie o alveoli" nei quali decidere se restare o riscendere, introdursi strisciando o fermarsi in contemplazione. Nessuna possibilità di fuoriuscita dal cosmo rinchiuso del cilindro. Una sorta di antico universo finito, un piatto mondo definito da Colonne d'Ercole. Nessuna possibilità, tranne molte ipotesi leggende, speranze, utopie su l’esistenza di un'eventuale botola al centro del soffitto (irraggiungibile tramite l'unico mezzo delle scale) o su dell’esistenza da qualche parte di un prolungamento di una delle quindici gallerie (le quali spesso sono comunicanti tra loro) che porterebbe ad un'uscita su cui si ipotizza di tutto. In definitiva nessuno si strugge alla ricerca di questo aldilà capovolto, in cui non è 'materiale' il pianeta, ma è materiale tutto l'universo circostante. Ognuno vive in un ritmo più o meno costante e codificabile i processi quotidiani e soprattutto fisici che lo circondano. Possibile leggere in questo mondo specifico una variabile astratta per l'umanità della Terra, di uguale intensità rispetto a quella che andiamo vivendo. Astrattamente e schematicamente i modi, i ritmi, i tempi dell'umanità della Terra, sommati e divisi, portati quindi a una media astratta e generica, diventano dei modi codificabili, medi, non riconducibili al singolo individuo (alle singole civiltà), ma rappresentano una globale umanità, nella quale individuare fasce di “psicologie” differenti. E’ più o meno questa la sintesi matematica che fa Beckett, parlando di una civiltà di circa duecento corpi intenti ad arrampicarsi per arrivare o a circolare senza sosta, tra cui alcuni ogni tanto si fermano, altri tentano soltanto di piazzarsi in un 'posto' per non muoversi più, se non rimossi a forza, altri ancora "quelli che non cercano, o non-cercatori seduti per lo più contro il muro nell'atteggiamento che strappò a Dante uno dei suoi rari pallidi sorrisi". Questo vagare continuo, senza conoscenza della 'meta', questo quotidiano 'esistere', lentamente va ad esaurirsi. Cercato tutto il cercabile, o ciò che è valutato tale, girato il girabile, scrutato tutto il cosmo-cilindro, tutte le nicchie e le gallerie, abbandonate le speranze ultraterrene, questi corpi allentano sempre più i propri ritmi, le ansie, la propria esigenza di ricerca. Cresce sempre più il numero dei 'vinti'’, fin quando solo un unico corpo vaga tra gli altri duecento abbandonati a terra o rigidi alle pareti o nelle nicchie. Questo solo individuo continua a scrutare i corpi e a cercare, “cercare” questo qualcosa che non si sa cos'è - che assomiglia molto, nel suo opposto all'"aspettare" di Vladimiro ed Estragone in "Aspettando Godot" in cui neanche Godot ha un'identità definibile - e ad un certo punto, esaurito anch'egli lo stimolo, si siede e si immobilizza anche lui per concludere cosi’ la vita animata nel cilindro. Da qui possiamo prendere spunto per parlare di 'negatività cosmica' in Beckett (mancanza di un fine ultimo) che però si rivela propositiva. Scegliendo di non identificarsi in una 'quotidianità di prassi', Beckett fa sua questa quotidianità come ricercatore per studiarla, sezionarla, capirla e restituircela nella sua totale inutilità di fronte all'universalità della vita. Così egli disperde ogni meccanismo della sua/nostra civiltà, sfrondandone quelle certezze e postulati, che allontanano dal fine 'reale' che è l'Uomo, l’essere che intanto mostra di esistere senza doversi inventare scuse plausibili. Da 'propositivo' Beckett fa anche la sua scelta 'attiva' nella società: In quanto scrittore disintegra, in ogni istante possibile, le possibili sclerosi della forma. E' anti-letterario in quanto non cerca sue compiacenti forme “estetiche” di scrittura, ma si dedica piuttosto a 'trasmettere', a far capire un messaggio, una realtà ed in particolare la complessità delle cause e degli effetti delle azioni e situazioni umane. Anche come uomo Beckett, comunque, la sua scelta l'ha fatta e non si è dichiarato 'assente' quando ha visto che la situazione lo richiedeva presente. Durante la guerra ha vissuto un lungo periodo di attività, come clandestino nella lotta partigiana prima, e come infermiere nella croce rossa poi, a conferma che la ricerca profonda votata all’uomo attuata nella sua letteratura non era lasciata fine a se stessa. (Questa sua stessa posizione ideologica fu causa di contrasto con Joyce, allora suo grande amico e a cui Beckett deve molto, in quanto egli invece si rifiutava di rendersi attivo per qualunque motivo “socialmente” dando per scontata, all’interno di questa negatività cosmica, l'inutilità ‘assoluta’ di qualunque 'azione') I suoi personaggi sono disintegrati, ma per questo come immagini esplose, sono ripresi in tutte le possibili sfaccettature, sono incredibilmente 'umani', - ricchi, cioè, di pregi e difetti reali, mai (solo) eroi, mai modelli. Si tratta di soggetti talmente comuni da apparirci stravaganti, a noi abituati a cercare il mito, l'esempio. Beckett entra nell'inconscio del singolo individuo, nella sua coscienza clandestina, e descrive dettagli che facilmente appartengono al pensiero umano ma che generalmente non vengono detti, o quelle stupidaggini che si dicono, ma che non si scriverebbero mai a rappresentazione di sé. Ciò’ che ci appare assurdo leggendo il nostro inutile parlare su dei fogli che speravamo ci vendessero meglio, è uguale a quel senso di disorientamento che prova il figlio di un'altra civiltà, di una cultura a noi estranea, nell'entrare in contatto con la nostra civiltà occidentale. E' la stupidità che legge il pellerossa nell'agire dell'inglese, o l'indigeno nei modi e nei costumi del colonizzatore. E’ anche quella che legge il bianco nei riti di una popolazione aborigena; il cattolico a confronto col buddista; l'ateo a confronto col religioso; il contabile a confronto col poeta; ecc... La mancanza di riconoscimento di codici comportamentali sociali. Ecco qui che questi duecentocinque corpi potremmo essere noi, che invece di correre per arrivare in orario o abbandonarci agli angoli delle strade senza desideri, potremmo essere capitati in altre sembianze a circolare sul fondo di un cilindro 16x16 o ad accasciarci lungo le sue pareti. Noi che invece di credere in Dio o in Allah o in qualche fatale casualità della nostra esistenza, ci troveremmo a ipotizzare e sperare di una botola che dà sul camino che porta alla 'liberazione', o a quella grotta con la galleria che, questa volta, invece di finire in un'altra grotta, dà sull'USCITA. E, nel frattempo, nonostante queste speranze, continueremmo a vivere fisicamente la nostra quotidianità, seguendo o infrangendo regole che sono regole qualsiasi (e che se non fossero queste sarebbero altre e non cambierebbe nulla in termini universali), ammettendo che le leggi vigenti in questo cilindro, seppur nell’opacità di un’esistenza “al chiuso” hanno certamente un carattere più semplice e schematico di quelle a cui ci si trova a render conto nelle nostre svariate civiltà, infestate anche da miserie morti e guerre. Porsi a favore dell'Uomo dunque, scegliendo sicuramente la vita rispetto alla morte, così tra scuse e tentativi pensare negativo per lucida conclusione a rafforzamento di un lucido agire positivo: "...Ma per farvi intravvedere fino a che punto arrivava la confusione delle mie idee sulla morte, vi dirò con franchezza che non escludevo la possibilità che fosse ancor peggio della vita, in quanto condizione. Non precipitarvi dentro, dunque, lo trovavo normale e così fermarmi in tempo quando mi distraevo al punto da provarmici. E' l'unica scusa che ho." (da MOLLOY) Scelta di vita non incondizionata. Scelta tra due negatività, certamente. Ma in questa seconda negatività (di condizione), dà grande attenzione critica all'”azione”. E’ la decisione attiva di parteggiare per il repulso; il bandito, il 'folle', mentre l’individuo classicamente considerato 'savio', è spesso da Beckett individuato come integrato, come colui che ha solo accettato i codici, ma non perché li comprenda: "...La natura della realtà restava oscura. Uomini donne e bambini della scienza sanno inginocchiarsi davanti ai dati in modo estremamente diverso da qualsiasi altra schiera di illuminati. Di conseguenza, la definizione e della realtà esteriore, o semplicemente della realtà, variava secondo la sensibilità di colui che l'arrischiava. Ma sembravano tutti d'accordo nel sostenere che il contatto con questa realtà, anche il flaccido contatto laico, costituiva un raro privilegio. Conforme a questo modo di intendere, i malati venivano descritti come 'svezzati' dalla realtà, dai benefici rudimentali della realtà laica, se non interamente, come nei casi più gravi, almeno sotto certi rapporti fondamentali. Ogni cura doveva mirare a gettare un ponte su quell'abisso, a trasferire il paziente dalla propria perniciosa sozzura al glorioso mondo delle quantità discrete, dove avrebbe riacquistato l'inestimabile prerogativa di stupirsi, di amare, d'odiare, di desiderare, di rallegrarsi e di piagnucolare, in un modo ragionevole e ben equilibrato, e di consolarsi nella società di altri che non valevano di più. Tutto ciò non mancava di ripugnare a Murphy, che dalla sua esperienza di canna pensante era spinto a definire santuario ciò che gli psichiatri definivano esilio, e a considerare i malati non come banditi dai benefici di un sistema, ma come sfuggiti a un fiasco colossale. " (da MURPHY) Ecco quindi la preferenza per il folle, per lo schizofrenico, per l'uomo malato che non reagisce all'interno dei meccanismi ufficiali, ma che, avendo e sapendo di avere tanti motivi per farlo, reagisce rifiutando tutta la 'flaccida realtà laica' in blocco. L'uomo di Beckett è il nostro vigliacco, il nostro pigro, il nostro fallito, il nostro stupido. Forse è semplicemente una parte di noi che per primi non siamo sempre eroi, né reagiamo ogni volta che dovremmo, né ci dimostriamo sempre brillantemente per quelle che sono le nostre possibilità quando siamo messi alla prova. Questo soggetto beckettiano impara poco niente dalle parole che sente, se le lascia scorrere addosso piuttosto, osserva il mondo circostante, ascolta un discorso finché colori e immagini e suoni non si frammischino perdendo sempre più senso comune, sfuggendo dai codici di un linguaggio convenzionale, diventando sconosciuti, irriconoscibili, luci ed ombre o puri colori, o suoni e rumori. Questo è l'uomo bambino che ricomincia sempre tutto da capo, e può farlo, la cui unica realtà è quella sua legge interiore dei desideri e delle emozioni con cui misura esperienze e mondo circostante; sa tutto, ma non sa spiegare nulla, gioca con le immagini e con le parole ricreandosi un suo universo, una sua forma e dei suoi codici, non conoscendo affatto i codici e i limiti della moralità comune, i quali spesso gli appaiono astratti e senza senso (assurdi, appunto). "...Le parole che sentivo le sentivo benissimo, avendo l'orecchio abbastanza fine, le sentivo la prima volta, e pure la seconda anzi, e spesso persino la terza, come dei suoni puri, liberi da ogni significato, ed è questa probabilmente la ragione per cui la conversazione mi risultava indicibilmente faticosa. E le parole che io stesso pronunciavo e che dovevano accompagnarsi quasi sempre ad uno sforzo dell'intelligenza, spesso mi facevano l'effetto di un ronzio d'insetto. E questo spiega perché ero poco chiacchierone, cioè, quella fatica che facevo a capire non solo quanto mi dicevano gli altri, ma anche quanto dicevo io a loro. E' vero che con un po' di pazienza si finiva con l'intendersi a proposito di che, ve lo chiedo, e per che risultato. E anche ai rumori della natura, e delle opere degli uomini, reagivo a modo mio, credo, senza pensare affatto di trarne delle lezioni." da “Murphy” Quel bighellone di Murphy passa le giornate patologicamente legato su di una sedia a dondolo, per lasciarsi cullare su e giù sempre più forte fino a capovolgersi e trovarsi aggrovigliato in modo ridicolo sul pavimento, senza riuscire a muoversi (distruggendo così tutta la ascetica "prassi" dell'azione precedente); va poi al bar e ordina un té si lamenta di qualcosa per far sì che glie ne portino un altro senza doverlo pagare, poi se ne va ad Hyde Park, mette i suoi biscotti tutti in riga sul prato e fa la conta indugiando il più possibile nella scelta di quale mangiare prima. E' l'uomo che trasmette la sua interiorità al malato di mente e che per questo comunica con lui, ma che non è invece riconosciuto dai suoi colleghi infermieri i quali, confermando il loro ruolo di curatori, scindono la loro entità personale dalle responsabilità che si assumono. Il mondo che popola il nostro cilindro, invece, è un mondo di corpi 'probabilmente' umani, ma comunque coerenti con la loro peculiarità di specie. Animali umani che istintivamente assolvono ai loro compiti, istintivamente si pongono nei confronti del benessere sociale: Privi di scissioni, schizofrenie e altri mali di quest'uomo confuso e sviato che ci rappresenta. E' questa la denuncia che Samuel Beckett fa all'umanità tutta, attraverso un'ironia intelligente e profonda, e attraverso il suo rifiuto totale, in ultima analisi, che lo ha portato a rinchiudersi al mondo, ai contatti sociali, dentro una villa solitaria dalle pareti alte dieci metri. Scelta razionale, quindi, confermata fin dal principio, di pazzia nel senso più abusato della parola. Sta ad un'analisi non in termini quantitativi e di comune logica moralistica, ma piuttosto di carattere più esistenziale (seppure non si tratti neppure di questo), concludere come questa lucida follia non sia assolutamente follia (o carenza o malattia), ma sia piuttosto una troppa chiarezza. Decodificazione delle LEGGI DEL CILINDRO 1 Scopo delle scale è portare i cercatori nelle nicchie 2 coloro che non ci vanno più le usano per lasciare il suolo 3 è consuetudine che non si salga in due; finché chi la sta usando non ha riguadagnato il suolo essa rimane vietata allo scalatore seguente 4 trascorso un termine... la scala deve tornare libera 5 la discesa ha in ogni caso la precedenza sulla salita basta affacciarsi a sbirciare all'imboccatura della propria nicchia perché si presenti una scala da usare, sicuri che chi è sotto cederà il passo anche se è in procinto di salire o sta già salendo 6 capita di oltrepassare il tempo limite prescritto per occupare la scala; è previsto che colui cui spetta la scala salga fino al trasgressore e lo richiami alla realtà con uno o più colpi nella schiena 7 l'infrazione non è volontaria ma imputabile a un guasto temporaneo della clessidra interiore, facile da comprendere quindi da perdonare 8 le collere sono riservate ai disgraziati cui salta in mente di salire a loro volta prima dello scadere del tempo limite, in riferimento al principio fondamentale n°3 9 il trasporto si attua sempre rasente al muro nel senso del mulinello; vi è proprio lungo il muro una pista larga circa un metro riservata ai portatori nella quale si raccolgono anche coloro che aspettano il loro turno per salire, serrando le file spalle al muro e appiattendosi il più possibile 10 lento girotondo dei cercatori dell'arena, che con attenzione cercano di non sconfinare nello spazio riservato agli scalatori, in direzione contraria a quella dei portatori crea una seconda pista ancora più stretta rispettata a sua volta dal grosso dei cercatori 11 la pulsazione della penombra di tanto in tanto si calma per pochissimi istanti nei quali gli agitati restano inchiodati ai loro posti, immobilità decuplicata dei vinti e dei sedentari; dopo una decina di secondi il fremito riprende e nello stesso istante tutto rientra nell'ordine 12 il fondo del cilindro è logicamente diviso in tre zone distinte delimitate da frontiere esatte ma invisibili all'occhio carnale e quindi mentali o immaginarie: 1) una fascia esterna larga circa un metro riservata agli scalatori e sulla quale stranamente se ne sta anche la maggior parte dei sedentari e dei vinti; 2) una fascia interna un po' più stretta su cui camminano lentamente in fila indiana coloro che stanchi di cercare nel centro si dirigono verso la periferia; 3) l'arena vera e propria che viene eletta dai più a terreno di battuta 13 mentre il cercatore passa a piacimento dalla terza alla seconda e viceversa, per accedere alla prima come d'altronde per uscirne è tenuto a rispettare una certa disciplina 14 l'accesso riservato agli scalatori è consentito solo quando uno di essi lo abbandona per unirsi ai cercatori o in via eccezionale a quelli della zona intermedia; il cercatore dell'arena deve aspettare il momento buono in mezzo agli intermediari (cercatori, scrutatori in attesa) 15 assoluto è l'obbligo di fare fino in fondo la coda liberamente scelta; qualsiasi tentativo di abbandonarla prima del tempo viene energicamente represso da coloro che ne fanno parte e il colpevole ricondotto in fila al suo posto; 16 ma appena arriva al piede della scala l'interessato è libero di usufruirne o di andare a unirsi ai cercatori dell'arena e in via eccezionale agli scrutatori senza incontrare opposizione 17 gli scrutatori che vogliono passare nella prima scrutano i capofila che sono i più idonei a creare il vuoto desiderato 18 lo scalatore ha la possibilità di abbandonare la coda appena si trovi al primo posto senza dover per ciò abbandonare la zona 19 basta che si aggreghi a una delle quattordici code a sua disposizione o addirittura si rimetta in fondo alla propria. è raro che un corpo abbandonata una coda non lasci la zona 20 proibito fare più di un giro di pista 21 ogni tentativo di contravvenire a tale disposizione viene sventato dalla coda più vicina al punto di congiunzione e il trasgressore deve entrare a farne parte poiché 22 non ha nemmeno il diritto di tornare indietro 23 per un vinto è proibito rifiutare il viso o qualsiasi altra parte del corpo al cercatore che ne fa richiesta il quale può staccare le mani dalle carni che nascondono e sollevare le palpebre per esaminare l'occhio senza incontrare resistenza 24 una certa morale impone di non far soffrire gli altri per non essere fatti soffrire a patto che ciò non comprometta la ricerca 25 mettere in evidenza è un atto che si può compiere solo sulle persone dei vinti e dei sedentar 26 coloro che fanno la coda per avere la scala godono di immunità: costretti dalla mancanza di spazio a stare incollati a lungo gli uni agli altri essi non offrono alla vista che particelle di carne confuse insieme 27 se qualcuno osa mettere le mani addosso a uno di loro tutta la coda si getta su di lui a corpo morto 28 le nicchie e le gallerie sono esclusivamente terreno di caccia. PROPOSTA DI REGIA Prefazione Lo stile letterario di Samuel Beckett non è costante. Generalmente, come ho già accennato in precedenza, Beckett non ricerca una pura forma estetica del linguaggio, ma l'unico valore reale che il linguaggio deve avere, quello di veicolo per la comunicazione e l’introspezione. Nella sua analisi sulla letteratura beckettiana, "Samuel Beckett e l'Iper-Determinazione Letteraria", Aldo Tagliaferri scrive: "...Uno dei temi dominanti è in Beckett la diffidenza per le parole, il timore, programmato si intende, che la parola assuma opacità, consistenza, vita autonoma. Non solo il mondo è rinnegato, ma la parola è sospettata di farsi mondo quando non è sufficientemente incalzata e rifiutata dalla successiva; il progress beckettiano non è direzionato verso il prodotto, il congegno d'arte, ma parte da un congegno per rendere impossibile un ritorno ad esso. Come Hamlet la persona beckettiana ha qualcosa dentro che va al di là della rappresentazione, che deriva il suo fascino dal rifiutarsi alla rappresentazione, dal rinviarsi a un soggetto concretamente esistente che comprende sia l'essere dell'opera sia il suo non essere come egualmente costitutivi..." Questo entrare-uscire dal romanzo, o il creare personaggi che non si curano di rispettare il ruolo di personaggi, sono le fondamenta, appunto, su cui si basa Beckett; e se nel teatro la necessità di una rappresentazione che consegua una certa fruibilità, limita in certi termini il gioco linguistico diretto, nella letteratura dei romanzi e dei racconti, questa è lasciato correre nella sua massima espressione. E' questo il motivo fondamentale per cui, dovendo portare avanti uno studio su Samuel Beckett, ho trovato necessario approfondire questo lato dell'autore lato che ritengo a torto meno considerato e più più significativo. La mancanza di forma in Beckett è la perfetta risposta alla sua scientificità, alla sua astrazione matematica. Il suo linguaggio segue il percorso contorto, incostante e contraddittorio del pensiero umano. Nella sua totale assurdità è terribilmente reale. Risponde cioè pienamente ai modi quotidiani della comunicazione. LO SPOPOLATORE è una di quelle poche opere beckettiane in cui la descrizione ambientale è fatta in terza persona. Non è descritta una realtà soggettiva, ma un'ipotesi di realtà oggettiva. Non c'è una gran differenza rispetto al messaggio complessivo, solo una differenza di tempi. L'analisi accurata della realtà soggettiva fa parte del primo tempo: Sembreremmo essere così’. L’analisi oggettiva ipotizza: Potremmo essere anche così. Da queste considerazioni parte la impostazione della regia del racconto (oltre naturalmente che la scelta del racconto stesso). Impostazione registica LO SPOPOLATORE è scritto in una forma strettamente descrittiva ed è totalmente privo di dialoghi (diretti e indiretti). Non condurrebbe, perciò, facilmente ad una drammatizzazione tranne, che se si cerca di creare dal testo un documentario: confermando, cioè, la proposta di "civiltà probabile" già accennata prima. Ho scartato l'ipotesi di uno sviluppo teatrale per questi motivi: pur procurando possibilità sceniche piuttosto interessanti esteticamente, questa scelta sicuramente richiederebbe una sintesi, che non appartiene al linguaggio dei lavori beckettiani. Ciò significherebbe infatti deformare un testo basato, invece, proprio sull'analisi. La mia ipotesi, perciò, va verso il film-documentario anche per la volontà/necessità di mantenere intatto il testo, il quale accompagnerà la scena muta con una voce fuori campo, estremamente didascalica, come in un documentario illustrativo. Scena muta, per cui azione epica mimata teatralmente. Sarà questa scelta a permettere di entrare nel cilindro, di scrutarne ogni angolo, di studiare sguardi, di seguire i corpi che salgono le scale, si accasciano al centro o ai bordi dell'arena, che circondano alla ricerca di ogni minimo segno; cosa non attuabile attraverso una rappresentazione teatrale, nella quale sarebbe improbabile far recitare duecentocinque persone, o anche solo la metà, senza tagliar fuori tutta la ricchezza di particolari di cui è continuamente farcito il testo. Appunti Tecnici sulla Scenografia Elementi: CILINDRO SCALE CORPI LUCI CILINDRO: Tutta la realizzazione del documentario è giocata cinematograficamente attraverso fotomontaggi. Il cilindro dato (mt 16x16) è inutile e improbabile che venga costruito, salvo che con una grande inutile spesa. Costruzione di un plastico del cilindro in scala 1:10 tale che permetta una riproduzione fotografica piuttosto verosimile alla realizzazione reale, per quanto riguarda i campi lunghi. Per le riprese dei particolari, i primi piani, etc, costruzione di spezzati di varie larghezze con un massimo di mt 5-6 di altezza, con nicchie praticabili atte ad accogliere uno o più corpi. Spezzati di sezioni interne della parete, che permettano l'inseguimento di un corpo fin dentro le gallerie e fino alla fuoriuscita dall'altra parte, o la retrocessione. Arena circolare di dimensioni reali (mt 16 di diametro) della stessa sostanza delle pareti del cilindro, e sulla quale si svolge il più delle scene; circondata da pareti molto alte, bianche e lisce su cui sono fissate alcune scale di dimensioni reali, per le inquadrature delle scalate dal basso, voli d'uccello, campi lunghi, alle quali verrà sovrapposta la parete ripresa sul plastico in scala 1:10. Inquadrature di pochi istanti, sorprese subito dopo dai primi piani, dai piani americani e particolari vari, filmati sullo spezzato corrispondente. Materiale: Una gomma dura, giallo-rossa, fluorescente in ogni sua zona. Poliuretano espanso su di un'armatura in legno intelaiata con una rete metallica di supporto modellabile per il materiale di copertura. Trattamento con vernice fluorescente giallo-rossa. SCALE: Scale a pioli di varie altezze (con un massimo di mt 14, dato che "in cima alla più alta i più alti possono toccare il soffitto con la punta delle mani"), con una larghezza media di cm. 60. In tutto 15 di numero. Le più ad incastro. Mancanti molti pioli in maniera irregolare e non uniforme. Anch'esse irradianti una certa luminosità. Soprattutto tronconi di scala, per gli spezzati, anche molto piccoli vuoti e leggeri per le scene del trasporto, durante le quali può anche servire di inquadrare un corpo che solleva tutta una scala e allora, oltre alla leggerezza del materiale, servono dei tiranti di sostegno dall'alto. Ma anche scale intere, fisse alla parete di proiezione per i fotomontaggi. Un numero minimo di tre o quattro per le riprese totali dal basso o dall'alto. Materiale: legno trattato con vernice fluorescente più effetto bruciato. CORPI: I personaggi vestono tutti una stessa divisa consistente in una copertura di fango grigia-terra e luminescente da permettere di assorbire i riflessi delle pareti (gialli, aranci, rossi). I corpi, però, non essendo fluorescenti, risulteranno comunque una presenza opaca nel cilindro. Le distinzioni avvengono per sesso e ruolo. Le donne, al contrario degli uomini che sono calvi, avranno una folta capigliatura di lunghi capelli sciolti, specialmente bianca o fulva, ma anche castana, o bionda. Mentre ai vinti la terra coprirà tutto il corpo, compreso il viso, del quale saranno visibili solo i lineamenti, ai cercatori in generale e ai sedentari resterà libera l'orbita degli occhi, i quali sono ancora ben visibili. L'effetto risultante da questo trattamento deve essere una sorta di nudità vestita di tipo vello animale, che lasci capire chiaramente l'esistenza di una sessualità ben definita, ma che non concentri l'attenzione su di essa. LUCI: Un dato importante per mantenere una nostra coerenza col testo è lo studio delle luci. In teatro, per seguire nei particolari la nostra azione, avremmo bisogno di luci direzionate, occhi di bue, flash nel buio, mentre considero importante le descrizioni date da Beckett: "Luce. Debole. Gialla. Onnipresente come se i circa ottantamila centimetri quadrati di superficie totale emettessero ciascuno un proprio lucore”. "la prima cosa che colpisce di questa penombra è che dà l'impressione di essere gialla per non dire sulfurea a causa delle possibili associazioni. Poi il fatto che vibra in modo regolare e costante ad una velocità che benché elevata non lo è mai tanto da rendere impercettibile la pulsazione. E infine ma solo molto più tardi che quest'ultima di tanto in tanto si calma per pochissimi istanti". "ma quest'illuminazione così inconsueta riserva ancora delle sorprese. invece di rivelare una o più sorgenti visibili o nascoste sembra emanare da ogni parte ed essere dappertutto contemporaneamente come se tutto quel luogo fosse luminoso comprese le particelle dell'aria che vi circola. A tal punto che si direbbe che perfino le scale generino luce invece di di riceverne se non fosse improprio usare il termine luce. Uniche ombre quindi quelle prodotte dai corpi oscuri che si stringono gli uni contro gli altri spontaneamente o per necessità come quando una mano opaca si incolla a un seno per esempio o a un sesso qualunque per sottrarli alla luce e anche il suo palmo scompare di botto. Mentre tutta la palma dello scalatore solo sulla scala o giunto in fondo a una galleria è agitata in ogni sua parte compresi certi angoli e certe pieghe nella misura in cui la luce vi penetra da un fremito giallo-rosso simile a quello di cui sopra". Dato che una scenografia di luci così risolta non aiuta la concentrazione dello sguardo richiesta nel testo, ma semmai la disperde, la soluzione ottimale sarà di rendere le particolarità attraverso l'obbiettivo della macchina da presa, per poter agire sulla scena come più serve per la sua illuminazione. L'incandescenza della materia, attraverso i colori fluorescenti, verrà dal posizionamento frontale di luci di Wood; e dietro ogni nicchia, o ogni zona in cui la materia è meno presente, un riflettore renderà la luminosità interna della materia 'che emana luce' e la luminosità delle stesse nicchie. Anche in questo caso non abbiamo un grande consumo, attraverso l'utilizzo del plastico e degli spezzati, e la possibilità di usare l'illuminazione solo nel punto specifico in cui si sta effettuando la ripresa, pur lasciando all'effetto totale del film quello di una illuminazione diffusa e omogenea. McBett® 1984 |
THE LOST ONES
Samuel Beckett THESIS of Stage Design 1984 by Elisabetta Jacomini FINE ARTS ACADEMY of ROME Introduction: The script THE LOST ONES belongs to a later Beckett production, in which the author definitely drops the classical schemes of literary language, still formed by propositions and periods, to leave wide space to a descriptive language made of word-action-feelings, more and more free from space-time ties. Published in the Italian edition with another tale, SANS, even more radical in this language, THE LOST ONES tells of an eventual population enclosed inside its total microcosm of an harmonic cylinder (mt 50 circa of ground by 16mt high), where eventual endeavors and reactions are produced; eventual mechanical laws, in a collective conscience of the individuals; eventual physical and mental relations to produce precise roles. (in progress) |