1993 FIABE x 3D vita, morte e miracoli TALES ITALY
IOLANDA
Iolanda - guarda impavida l'orizzonte che si disperde infinito tutt'attorno.
Dalla prua della nave in corsa - le vele gonfie e luminose - l'aria penetrante e salina.
Schizzi di spuma sul ponte le bagnano le vesti e spruzzano i capelli scuri che si agitano nel vento.
L'orizzonte é impercettibile - la meta é un miraggio.
Sirene e tritoni guizzano nel mare - anche Moby Dick la balena bianca talvolta si inalbera tra le onde.
La vedo dall'alto del mio posto di vedetta - fiera e certa - lontana - come i nostri orizzonti perduti.
Non guardo - io non guardo - laggiù dove ciò che dovrà essere non sarà mai.
Una statua di sale e alghe al vento - la sua pelle marmorea - cristallina - il mare l’ha composta col suo sale schizzo schizzo soffio soffio...
Iolanda - figlia del Corsaro Nero - terrore dei sette mari - potente il suo alito di alga, di sale e cielo. I suoi occhi - fondi e tersi - brillano di un chiarore terrificante - identico alle luci apocalittiche di questi mari selvaggi - limpidi e atroci.
Occhi che impietriscono chiunque turbi la maestosità di questi attimi - chiunque si azzardi a fronteggiare questo sguardo sconfinato e prepotente.
Da quassù la guardo umilmente.
Ricco di questa immagine mi confondo.
Ora su ora - le onde battono incessanti con ritmi vari contro la carcassa di questo veliero.
La bandiera nera sventola gagliarda sul mio capo.
Le ossa attorno al teschio sembrano scricchiolare strapazzate dalla bufera che si alza e dalla nave che barcolla.
Tutti in coperta i pirati - i marinai.
E' sola Iolanda, di fronte a questa natura onnipotente - e nulla - proprio nulla - possono farle questo vento, questa tormenta, queste ombre, queste grida, questi tonfi.
Nulla a lei, statua di sale, splendente cristallo, regina delle acque e dei venti - nulla - unica capace, col suo sguardo vitreo, di vedere, oltre al terrore, la vita - oltre al turbine - il nostro miraggio - l'isola lontana alla quale attraccheremo all'alba.
SAMARCANDA
Camminavo, lentamente, nella pioggia.
La notte fonda si scioglieva in me ed io non lo sapevo.
La verità é che io ero, e non ero... vicina e lontana...
L'uomo fuggiva da me, ma ero sempre presente,
ed era inevitabile.
Confusa nelle immagini che la vita quotidianamente trasmette, io ero là.
Non facevo parte della sua realtà.
Piuttosto appartenevo a quel mondo onirico che ogni uomo ha in sé, suo malgrado.
E, buia come una notte di tempesta - senza alcuna luna a rischiarare la mia presenza - io camminavo assente e presente nel percorso dei suoi pensieri.
Era inutile che galoppasse - inutile fuggirmi nella notte, perché io non lo rincorrevo.
Per questo ci trovavamo sempre lì, lui a fuggire ed io, che non lo rincorrevo, sempre lì, nella notte.
Voltati verso i due poli opposti, eppure sempre presenti; e quanto pesava questa presenza, quanto pesava...
Allora io stessa pensavo di me con cognizione materiale. Pensavo, certa, di esserci.
Al contrario, ero solo sua idea nella notte.
Presenza incostante ed irrazionale. Piuttosto uno spettro; o la Morte in persona.
Ma non portavo la Fine nel mio cuore: era semplice la mia anima, ignara
dell'occhio che su di me si posava e del pensiero che motivava il suo sguardo.
Ci incontrammo, finalmente, a Samarcanda.
Io non me l'aspettavo e non pensavo a nulla: tranquilla prendevo della vita ciò che essa mi dava, serena nell'animo e nei pensieri.
Ci incontrammo, dunque, e fu lui ad offrirmi lo specchio, ansioso, angosciato, a dimostrare la mia fatiscenza.
Fu lui, così spaventato ed umano, a gettarmi addosso tutto questo.
Quanta impotenza in quell'attimo.
Nessun orrore di me, vi assicuro: non vedo perché, data la mia mente madida come un bucato al sole.
Fu il vedere offuscarsi la luce dei suoi occhi, e capire di essere una trappola ordita a provocare macabri destini, schiava ignara di progetti a me sconosciuti, a svegliare un gelo nel mio cuore.
E così, perché ho capito, mi sono aggrappata alla notte in tempesta, fonda e sconfinata, madre tenera nel mio tormento e mia mandante, e tra le sue braccia ora mi cullo, ubriaca, certa di essere Morte, senza esserne degna.
CENERE
Sei una povera ragazza, nient'altro che una povera ragazza, e te ne stai rincantucciata sullo scalino del focolare, accanto alla brace esaurita.
Che ne sarà di te in un futuro lontano?
Come potrai raccontare a qualcuno la sofferenza, l'amarezza, il lutto, la solitudine che provi sempre sulla tua pelle, quando tutto il mondo è solo, per te, questa cenere nel camino, questi arnesi del focolare - la polvere delle grandi stanze - e gli specchi, in cui trovarti a tu per tu nei lunghi e solitari pomeriggi d'inverno - ed il suono malinconico delle vuote sale umide - ed il freddo nelle ossa.
Questo è tutto.
Nient'altro da aspettarsi dalle monotone giornate solitarie, rinchiusa nel palazzo antico della tua famiglia, che conserva, come cimeli, solo fantasmi e nostalgia.
Chi mai si ricorderà di te?
Chi mai sospetterà che qualcuno, consumando logore ciabatte, abbia percorso, amato e rinnegato, non la casa, non tutta questa casa, ma esattamente ogni suo angolo, ogni sua pietra, ogni singolo oggetto, ogni rumore, ogni odore, ogni ombra, ogni ragnatela, ogni mobile, ogni tappezzeria, in ogni ora del giorno e della notte?
Chi potrà collegare queste mura ad un'animella incolore come la tua, così silenziosa?
E poi, nei secoli che verranno, quando non ci sarai più, chi ricorderà al tuo posto la storia di tuo padre, dal volto sereno e gentile, con le sue carezze, e quella di tua madre, con i suoi sorrisi e le canzoni...
Chi permetterà al fuoco della memoria di brillare in eterno nonostante quella morte fisica e la disintegazione di questo nucleo familiare così enorme e bello, così carico di amore e dedizione, nel passato....
Adesso sono altri tempi. Un'ondata di morte si abbatte su queste pareti antiche, e non si tratta di quella morte che trasporta lontano le persone care privandoci della loro presenza, per sempre.
Quella morte lì, discretamente,
ha bussato già due volte a quella porta e poi è andata via, lontano.
No, quella non è una mote di cui soffrire.
La morte che è piombata su questa casa è una morte presente, materializzabile.
E' la morte che logora lentamente i vivi, ma non permette più loro di considerarsi tali, pur essendo ancora in vita.
E' quella morte che annulla una personalità e fa perdere al mondo le tracce della sua storia, isola un individuo dal suo contesto naturale, lo priva di dignità, lo scaraventa in un mondo di umiliazione e lo annienta contro il muro della solitudine e dell'insicurezza, fin quando di lui non resta che poltiglia, che magma informe, cosicché, seppure vivesse secoli, di lui non si riconoscerebbe nient'altro che cenere.
Da vivo costui sarà molto più innocuo che da morto, molto più inutile.
Porterà solo dentro di sè un vago ricordo delle sue azioni o del suo amare:
sarà nulla e nel nulla svanirà.
Non avrà avuto, nessuno a cui raccontare di sè, nessuno si sarà confidato con lui.
Nessuno comparirà sulla sua soglia, quella notte, o quel giorno, in cui al vuoto capezzale sarà presente solo la Signora delle Tenebre.
Nessuno avrà qualcosa da dire a questo riguardo, come della cenere che resta dopo un fuoco che non si segue più, che si è visto bruciare distrattamente e poi si dimentica.
Piccola ragazzina, pensando a tutto questo prendi familiarità, molta familiarità, con la polvere del fuoco.
Non c’é nulla di più tenero del rammarico di trovarti simile al grigio di questa cenere del camino, uguale a questa spumeggiante cenere tiepida - aspra polvere ruvida carica di storia.
Ti scivola tra le dita e si alza nell'aria mentre pensi alle pareti della casa, alle tue mani bianche e screpolate, cresciute nella penombra, che si muovono con cognizione nelle stanze affollate di immagini del passato, voci di un'infanzia distrutta, fino a quelle immagini del presente, violenti colpi nella notte... e mentre ti scivola tra le mani, questa cenere si sparge sul piano del camino, si spande, sei tu che la spandi con le tue manine bianche, impolverate, sporche, la spargi dappertutto, sul piano del camino, sul pavimento, sul tappeto, sulle poltrone e sui divani, e poi addosso, ti cospargi tutto il corpo di quella cenere, e giri in tondo, danzi, danzi, ne prendi una grande manciata, con tutte e due le mani, e te la getti sulla testa, la tiri contro il lampadario di cristallo tutto lucido, splendente, pulito goccia per goccia dalle tue aride e bianche mani.
La cenere ti ricade dolcemente addosso, tempesta di polvere secca, ruvida, sottile.
Riempie tutta l'aria, ti imbianca i capelli.
Brucia, la sua anima di fuoco, tutto ciò che tocca.
Te la scuoti via da dosso, adesso, riempiendo l'aria sempre più di polvere e fumo.
Polvere, polvere, polvere é tutto, ora,
polvere che getti, dopo che negli anni ne hai sempre tolta in continuazione. Hai solo pulito, pulito, lucidato ogni cosa, ogni mattone, ogni pietra, ogni oggetto.
Hai solo nascosto il peso di questi anni di morte.
Ma ora basta, restituiamo agli oggetti tutto il peso della loro storia. Restituiamo alla casa il reale colore del tempo.
Restituiamo ogni cosa.
Cenere, cenere, cenere, in questa ritualità frenetica e lugubre: le tue mani, ormai nere, si stropicciano sul tuo viso impolverato, sugli occhi, e ti guardi nel grande specchio del salone e vedi, lì, a guardarti, da dentro lo specchio, una maga scura, dai capelli d'argento, tutti irti.
Gli occhi, profondi laghi bui, in cui guizza intelligente la pupilla, il volto antico come i millenni trascorsi in quella casa ad aspettare.
Tutta polvere grigia nell'aria.
Lei ti guarda con sguardo severo, fermo, ma complice, e poi sorride, di un sorriso enorme, energico, energetico, incredibile, per poi scoppiare a ridere, di una immensa, bestiale, magica, demoniaca risata.
Immensa splendida risata che spacca i cristalli, sposta l'aria densa di polvere, risuona nelle sale vuote, nei corridoi e corre, corre in ogni angolo della casa fino a tornare a te, a sbatterti addosso mentre magicamente ti trasformi:
più altera, il tuo portamento meschino e goffo si è fatto orgoglioso e regale;
anche la maga che sei che ti guarda dallo specchio ammicca e ti fa apprezzare un corpo che non avevi mai guardato, un sorriso che non avresti mai potuto credere, sorriso splendente di trentadue perle perfette in quella bocca timida, fresca come una goccia di sangue sulla ricotta della tua pelle.
Non ha importanza se tutto questo ora è mascherato dalla fuliggine nera che ti segna le guance e ti imbianca i capelli dai riflessi dorati.
Corri alla fonte e lava via tutto questo silenzio secolare, questa pazienza zelante, questa etica impeccabile, questa modestia massacrante, lava via con la cenere tutta l'ultima storia della donna e dell'uomo affinché nulla resti, sgrassato a fondo dalla lisciva corrosiva e feroce della tua emancipazione concepita e raggiunta.
Rovista a fondo nei bauli della tua storia lontana, dove certamente esiste una veste appropriata, splendente, nuova, per uscire di scena, passare direttamente tra il pubblico in sala, ed incontrare, senza indugi, a tu per tu, tutto il mondo negato che ti volevano convincere, fosse soltanto uno sbiadito orizzonte sullo sfondo di una vita che non ti spettava di diritto.
E a chi, invece, avrebbe dovuto spettare?
Con questi occhi luminosi, iridescenti, memori - ultima scintilla - del fuoco che si stava per assopire tragicamente in loro, con questo gran fuoco nero che taglia l'aria circostante e miete vittime in coloro che, ricchi di un'anima, si saziano di questo sguardo di dardo avvelenato, con questa tua bella faccia enorme e luminosa, raggiante nella tua nuova luce, vai direttamente al palazzo del re e prendi sottobraccio il principe leggiadro, perché ti stava proprio aspettando, nonostante la folla che lo circondava, e sbuffava annoiato in attesa proprio che tutto questo accadesse nella sua vita, e chiudi il capitolo della tua segregazione, del tuo annullamento nella cenere, almeno per ora, tornando al tuo tempo presente e restituendo al giusto tempo passato tutti i ricordi che hai e che non sono mai stati nelle mura di una qualunque casa, ma albergheranno eternamente solo nel tuo cuore.
FIABE x 3D 1993®McBett